On settembre - 2 - 2010
Mostra del Cinema di Venezia
day 2
2.09.2010
Lido di Venezia
Le trasposizioni cinematografiche dei grandi successi letterari, datati e recenti, sono sempre impresa ardua per qualsivoglia regista.
Lo sa bene Tran Anh Hung, celebrato regista già Leone d’Oro a Venezia nel ’95 con “Cyclo”, che propone la tragica e commovente storia (semi autobiografica) di “Norwegian Wood”, di Haruki Murakami, tra genialità fotografiche rese attraverso le trascendentali ambientazioni che fanno dei paesaggi dominante materia in contrasto con la flebile essenza di Watanabe e sei suoi, spesso sfortunati, come ben noto, amici, esaltando però gli scenari giapponesi e i colori più espressivi ed indicativi proprio del passaggio da una stagione all’altra (dominante il verde, il rosso scuro e il bianco spento. E ovviamente tutte le più ombrose tonalità di grigio scuro), a metafora stessa dell’evoluzione dei personaggi, da adolescenti a piccoli uomini, tra contestazioni sessantottine, scoperta del sesso, primi, timidissimi, amori e flashback di dolorosa essenza. Ad inficiare ciò, forse, un ritmo troppo lento, per una pellicola tratta da un romanzo di tal successo globale, che la rende così un tantino elitaria nel gusto.
Silenzi e colori a dominare la scena di una quotidianità macchiata da psicologie sensibili.
La seconda giornata di proiezioni e conferenze di Venezia 67, ha visto trionfare l’italianità con un’impegnata Elisabetta Sgarbi, regista di un documentario (proposto nella categoria Controcampo Italiano), che con “Se Hai Una Montagna di Neve, Tienila All’Ombra” indaga sul ruolo della cultura e sulla sua essenza al di là dei luoghi comuni. Il tutto con illustri ospitate: da Battiato a Eco, passando per il fratello Vittorio Sgarbi, Sandro Veronesi, Laura Morante, Enrico Ghezzi Antonio Rezza e Manlio Sgalambro.
“L’Amore Buio”, di Antonio Capuano, invece, sviluppa un morboso rapporto, macchiato da uno stupro, tra 4 giovani ragazzi di periferia, tanto esili nell’aspetto e nell’età, quanto capaci di cattiverie inconsapevoli, fino alla reclusione.
Se è una giovane donna sottomessa e vittima, la protagonista di Capuano, con “La Belle Endormie” della giurata dell’edizione 2007, la poetessa scabrosa Catherine Breillat, si rilegge soavemente e maliziosamente la celebre fiaba di Charles Perrault, con le adolescenti protagoniste Carla Besnaïou e Julia Artamov, a mo’ di viaggio d’iniziazione femminile che ruota attorno alla passione, spesso sessuale, a cui è impossibile resistere, a metafora, inoltre, della dolente sostanza interna agli impeti stessi della piccola Anastasia.
Ma è con Julian Schnabel che l’espressionismo femminile si manifesta al mondo.
“Miral”, attesissima pellicola tratta dalla biografia della compagna del regista, la giornalista Rula Jebreal, con una splendida Freida Pinto nel ruolo della giovane protagonista, capace di trasmigrare anche visivamente dai 14 ai 30 anni nell’arco delle due ore di film, è l’affresco movimentato e scosso dell’attivismo palestinese femminile, macchiato nell’infanzia da viziosi stupri e alcolismo, tradimenti e crudeltà regalata allo spettatore mai attraverso scene invasive, ma solo grazie alla ben nota sensibilità del regista, che dopo “Basquiat” e il toccante “Lo Scafandro e La Farfalla”, regala un attaccamento sentimentale (scelta forse impopolare, ma deliziosa e soprattutto diversa dal classico film di carattere politico sul tema Israele-Palestina) che le sue donne, Miral in testa, acquisiscono attraverso empatiche sofferenze imposte da dogmi socio-culturali e tradizioni crudeli, trasformandone la matrice in caparbietà incisiva nella brama di sopravvivere alla guerra, ambire ad una pace, forse, utopistica, mirando ad una reazione nel nome di un amore totalitario nei confronti della vita e dei più indifesi.
Nulla di scontato, mai. Solo grande commozione nella figura (l’unica realmente positiva e incensurata e l’unica maschile ben delineata) del padre di Miral, il cui appassionato amore per la figlia sfugge al controllo anti-emotivo.
Prospettive inattese, sguardi turbati, capelli neri increspati, bambini già cresciuti, deserti nemici, movimenti che diventano parte integrante della scena e della poetica stessa della pellicola, tra acutezze e sensibilità artistiche di grandissima levatura.
Aggiungete le partecipazioni d’eccezione di Vanessa Redgrave e Willem Dafoe, che arricchiscono l’opera, già splendida.
E’ solo l’inizio, ma una delle carte vincenti, forse, è già stata servita.
Lo sa bene Tran Anh Hung, celebrato regista già Leone d’Oro a Venezia nel ’95 con “Cyclo”, che propone la tragica e commovente storia (semi autobiografica) di “Norwegian Wood”, di Haruki Murakami, tra genialità fotografiche rese attraverso le trascendentali ambientazioni che fanno dei paesaggi dominante materia in contrasto con la flebile essenza di Watanabe e sei suoi, spesso sfortunati, come ben noto, amici, esaltando però gli scenari giapponesi e i colori più espressivi ed indicativi proprio del passaggio da una stagione all’altra (dominante il verde, il rosso scuro e il bianco spento. E ovviamente tutte le più ombrose tonalità di grigio scuro), a metafora stessa dell’evoluzione dei personaggi, da adolescenti a piccoli uomini, tra contestazioni sessantottine, scoperta del sesso, primi, timidissimi, amori e flashback di dolorosa essenza. Ad inficiare ciò, forse, un ritmo troppo lento, per una pellicola tratta da un romanzo di tal successo globale, che la rende così un tantino elitaria nel gusto.
Silenzi e colori a dominare la scena di una quotidianità macchiata da psicologie sensibili.
La seconda giornata di proiezioni e conferenze di Venezia 67, ha visto trionfare l’italianità con un’impegnata Elisabetta Sgarbi, regista di un documentario (proposto nella categoria Controcampo Italiano), che con “Se Hai Una Montagna di Neve, Tienila All’Ombra” indaga sul ruolo della cultura e sulla sua essenza al di là dei luoghi comuni. Il tutto con illustri ospitate: da Battiato a Eco, passando per il fratello Vittorio Sgarbi, Sandro Veronesi, Laura Morante, Enrico Ghezzi Antonio Rezza e Manlio Sgalambro.
“L’Amore Buio”, di Antonio Capuano, invece, sviluppa un morboso rapporto, macchiato da uno stupro, tra 4 giovani ragazzi di periferia, tanto esili nell’aspetto e nell’età, quanto capaci di cattiverie inconsapevoli, fino alla reclusione.
Se è una giovane donna sottomessa e vittima, la protagonista di Capuano, con “La Belle Endormie” della giurata dell’edizione 2007, la poetessa scabrosa Catherine Breillat, si rilegge soavemente e maliziosamente la celebre fiaba di Charles Perrault, con le adolescenti protagoniste Carla Besnaïou e Julia Artamov, a mo’ di viaggio d’iniziazione femminile che ruota attorno alla passione, spesso sessuale, a cui è impossibile resistere, a metafora, inoltre, della dolente sostanza interna agli impeti stessi della piccola Anastasia.
Ma è con Julian Schnabel che l’espressionismo femminile si manifesta al mondo.
“Miral”, attesissima pellicola tratta dalla biografia della compagna del regista, la giornalista Rula Jebreal, con una splendida Freida Pinto nel ruolo della giovane protagonista, capace di trasmigrare anche visivamente dai 14 ai 30 anni nell’arco delle due ore di film, è l’affresco movimentato e scosso dell’attivismo palestinese femminile, macchiato nell’infanzia da viziosi stupri e alcolismo, tradimenti e crudeltà regalata allo spettatore mai attraverso scene invasive, ma solo grazie alla ben nota sensibilità del regista, che dopo “Basquiat” e il toccante “Lo Scafandro e La Farfalla”, regala un attaccamento sentimentale (scelta forse impopolare, ma deliziosa e soprattutto diversa dal classico film di carattere politico sul tema Israele-Palestina) che le sue donne, Miral in testa, acquisiscono attraverso empatiche sofferenze imposte da dogmi socio-culturali e tradizioni crudeli, trasformandone la matrice in caparbietà incisiva nella brama di sopravvivere alla guerra, ambire ad una pace, forse, utopistica, mirando ad una reazione nel nome di un amore totalitario nei confronti della vita e dei più indifesi.
Nulla di scontato, mai. Solo grande commozione nella figura (l’unica realmente positiva e incensurata e l’unica maschile ben delineata) del padre di Miral, il cui appassionato amore per la figlia sfugge al controllo anti-emotivo.
Prospettive inattese, sguardi turbati, capelli neri increspati, bambini già cresciuti, deserti nemici, movimenti che diventano parte integrante della scena e della poetica stessa della pellicola, tra acutezze e sensibilità artistiche di grandissima levatura.
Aggiungete le partecipazioni d’eccezione di Vanessa Redgrave e Willem Dafoe, che arricchiscono l’opera, già splendida.
E’ solo l’inizio, ma una delle carte vincenti, forse, è già stata servita.
di Ilaria Rebecchi
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