Un salto back to the past ‘70s, con i Subversives U.K., rinomata formazione londinese che dal 1976 ad oggi riesce a far rivivere l’esaltazione di un punk passato ma mai sedato. Se gli U.K. Subs, da “Another Kind Of Blues” (’79) all’ultimo “666 Yeah”, datato 2006, hanno, con quasi 30 album, saputo costituire parte di quella subcultura giovanile dell’epoca emersa in un’Inghilterra subissata da problemi sociali, infarcendo di ruvidità diretta le stesse sonorità dei più celebri Sex Pistols, Clash e Damned, senza rinunciare a blande linee melodiche di tutto rispetto e facili alla memoria, rivederli dopo oltre 30 anni di trasformazioni musicali, culturali e sociali è una boccata d’aria fresca.
Nulla di esagerato sotto il profilo musicale, come del resto la stessa definizione di punk pretende da decenni: un tessuto ambiguamente grezzo e roccioso, forte di una batteria mai doma e di una chitarra incandescente e schiaffata in faccia all’ascoltatore come una sassaiola acida ed imperitura, a cui la vocalità, lasciva e mai troppo puntuale, di Charlie Harper, immobile di fronte all’asta del suo microfono, sballato e biondissimo, tatuato e coerente nella sua non trasformazione negli anni, dona ad oggi ancora perle di real punk history, senza esagerazioni artificiali ed artificiose e senza ambizioni ad essere idolatrato come una rock-star. Ma un pubblico elitario e selezionato, di aficionados bramosi di poghi e abbigliati come all’epoca, lo esalta tutt’oggi ad icona di un movimento, orfano dei più noti leader Syd Vicious e Joe Strummer e desideroso di riaffacciarsi proprio a quelle sonorità e di conseguenza a quei tempi, anche se, magari, paradossalmente, molti di loro all’epoca nemmeno erano nati.
Si dice che il punk sia nato brillato e defunto in quel periodo dove la perfezione sonora non era contemplata, a favore, al contrario di un’energia incontrastata e del desiderio ancora illuso e positivo, di poter cambiare il mondo. Oggi il punk si rivive in concerti come questo, dove 4 semplici elementi che compiono il loro dovere affrontando tematiche tanto lontane nel tempo quanto più che mai attuali, rievocano quel passato ottimistico seppur rabbioso, che oggi vede, di contrario, stravincere la disillusione e la rabbia come forma di mero sfogo alle disavventure della vita quotidiana, piccole o grandi che siano, e non più come forma di effettiva rivolta.
Ma alla fine il punk non è realmente morto…