ROMA FILM FESTIVAL / day2:
“Animal Kingdom”, Loach, Marion Cotillard, Taniguchi, John Landis e Fanny Ardant
E’ il giorno delle bugie bianche, del fumetto che diventa cinema, della geniale brutalità dell’underground australiano e della comicità horror.
Così l’astro nascente del mondo della regia francese, Guillaume Canet (già visto come co-protagonista in “Last Night”) presenta per la Selezione Ufficiale, Fuori Concorso, una pellicola di rara grazia e bellezza, “Little White Lies”, che riesce a dipingere il sottobosco di micro-veli di cui la società di oggi è intrisa, prendendo spunto da un microcosmo amicale di una compagnia di baldi 40enni in piena crisi di identità, tra lavori spesso non soddisfacenti e dubbi amletici sulla coerenza ed esattezza del percorso sentimentale (e sessuale) preso nel corso dell’evoluzione fino a diventare donne ed uomini compiuti, filtrato sia attraverso il punto di vista maschile (anche nella visione dell’emancipazione femminile che, nella persona della splendida protagonista della pellicola, la compagna di Canet, Marion Cotillard, vede il tramutarsi dei dogmi sessual-emotivi, fino a rendere la donna stessa carnefice di uomini, talora – perché il sesso non implica sentimento, e, di conseguenza, dolore – ), tra alti riferimenti cinematografici (da “Il Grande Freddo” al nostrano “Saturno Contro” (con delicatezza ed eleganza senza dubbio maggiori, è da dire), delineando l’elaborazione del lutto, l’amicizia più sincera sebbene cruda e brutale, talora, la capacità, di ognuno, di mentire a sé stesso e agli altri, l’omosessualità ed una purezza scenica tale che l’occhio dello spettatore, per le oltre due ore di proiezione, è costretto deliziosamente a sorridere dei piccoli, e comuni, difetti della quotidianità umana, e a riflettere onerosamente sul fast-food emozionale a cui si è abituati per esubero di input ed eccessiva incapacità indotta di godere degli altri, appieno.
Meritevole e splendido.
Mentre poi, la rutilante avventura di Thomas, 40enne che si vede ri-proiettato nella propria infanzia, nel riadattamento (ottimamente realizzato) cinematografico (per mano di Sam Garbaski) del celeberrimo manga cult di Jiro Taniguchi (“Harukana Machi’e”), “Quartier Lointain”, dove più di tutto colpisce l’atmosfera onirica ed immaginifica creata ad hoc dalla soundtrack originale degli AIR (autore e regista, in momenti diversi, pensarono proprio alle loro canzoni come fonte d’ispirazione per le loro opere, ndr), e il ritorno di John Landis alla regia per “Burke & Hare”, tragi-comedy fragorosa su sfondo horror, gli occhi sono tutti puntati per “Animal Kingdom” (con Guy Pearce), già vincitore dell’ultimo Sundance Film Festival, ed esordio cinematografico del giovane regista australiano David Michod, che dipingendo le piccole bande di Melbourne, in un quadro furibondo, crudo, reale e polimorfo a metà tra psicanalisi della famiglia (eccellente prova della matriarca Jacki Weaver, in profumo di candidatura all’Oscar 2011 come attrice non protagonista), thriller-poliziesco, terrificanti scene di sangue alla Scorsese, agghiaccianti verità ed avvincenti percorsi di giovani criminali, riesce a confezionare una pellicola degna di lode.
E mentre il concorso offre “Dog Sweat”, di Hossein Keshavarz, affascinante prova di cinema realista, ambientato in Iran, Fanny Ardant presenta “Chimeres Absentes”, cortometraggio incentrato sulla storia di emarginazione dei Rom, mentre il figlio di Ken Loach, Jim, presenta “Oranges & Sunshine”, ovvero la vera storia di Margaret Humphreys, assistente sociale che portò alla luce il mercato illegale di bambini, con protagonista la sempre ottima Emily Watson.
E’ ancora dolce la vita del cinema di oggi?
di Ilaria Rebecchi