ROMA FILM FESTIVAL 2010: “Dylan Dog: Dead of Night”, “The Pool Diaries”, “Let Me In”, “Gangor”, “La Scomparsa di Patò” e “Las Buenas Hierbas”
Horror sull’infanzia, chimica dei sentimenti e delle piante, antropologia e storia pre nazista, femminilità e media in India e Camilleri.
Questi i temi salienti della quarta giornata di Festival a Roma, che, annuncia, tra le altre, anche l’anteprima dei primi 20 minuti dell’adattamento cinematografico del celeberrimo fumetto di Tiziano Scalvi, “Dylan Dog: Dead of Night” , per mano del regista Kevin Munroe, con location a New Orleans.
Ad aprire la giornata cinematografica, la meravigliosa storia, firmata da Chris Kraus, e in concorso, di “The Pool Diaries“, pellicola che dopo ben 15 anni circa di gestazione creativa, prende spunto dal racconto delle memorie della lontana zia del regista stess, la scrittrice tedesca Oda Schaefer, la cui visita nella proprietà di famiglia (ruolo fondamentale assunto dalla casa stessa che ha ospitato le riprese, fedelmente ricostruita dallo staff tecnico sul modello Palladiano, ndr) nell’Estonia a ridosso della Prima Guerra Mondiale, infarcendo la trama di una densa storia d’amore, dell’ardore degli animi scossi dalla violenta lotta di classe e dai sovvertimenti politici, ove i personaggi (ottima l’esordiente e giovanissima Paula Beer) cercano un’emancipazione polivalente chi nel sentimento, chi nella libertà e nella reazione e chi in loschi esperimenti antropologici atti a sfidare la scienza stessa, all’epoca conosicuta.
Stupefacente, d’altra parte, l’appiglio sul pubblico di “Gangor“, meravigliosa e prima co-produzione italo-indiana firmata da Italo Spinelli, all’esordio (si può dire, vista la precedente esperienza con i documentari) con il lungometraggio di finzione. Il film, liberamente tratto dal toccante racconto del genio di Mahasweta Devi, “Choli Ke Pichke – Dietro il Corsetto“, dipinge il quadro non didascalico (e quindi facilmente visibile persino per un pubblico indiano) dell’influenza e della discutibilità dei media, spesso bramosi di scoop e loro stesse vittime, e della società delle mini-comunità indiane dell’Ovest del paese, ove il ruolo della donna è emancipato dall’infanzia, libero e paritario a quello dell’uomo. Dramma realistico della comunicazione e dei popoli.
Oltre alla divertente parentesi tutta italiana che vede protagonista la pellicola di Rocco Mortelliti, “La Scomparsa di Patò” tratto dall’omonimo romanzo-thriller-doossier di Andrea Camilleri, ora godibile anche al cinema dopo il ben noto prodotto televisivo che ne ha consolidato la fama nel corso degli ultimi anni (nel cast il sempre lodevole Neri Marcorè al fianco di Nino Frassica e Maurizio Casagrande, oltre che la firma nella sceneggiatura di Maurizio Nichetti), “Let Me In” ha incendiato i giovani (e non solo) amanti dell’horror in quanto remake dell’omonimo film svedese, e firmato da Matt Reeves (Felicity, Tre Amici, Un Matrimonio e Un Funerale, The Yards e Trappola sulle Montagne Rocciose), che, sfruttando l’onda del recente successo delle pellicole sui vampiri, ne scombina il fulcro narrativo ponendo l’attenzione della storia tra i due giovani amici Amy ed Owen, su una dimensione più dark ed atta a sottolineare la crescita adolescenziale, spesso temibile e fucina di traumi, con un finale, forse, senza salvezza.
Infine “Las Buenas Hierbas“, della messicana regista Maria Novaro, già vincitore di 8 premi al festival del Cinema a Guadalajara, soffoca il moralismo sull’eutanasia, concentrando l’attenzione sulla chimica dei sentimenti, delle emozioni e dell’anima, curabile, secondo la tradizione sudamericana, attraverso un uso saggio e profetico di alcune piante.
Dal romanzo al libro, dall’horror all’orrore, dall’ironia al thriller, dalla natura all’anima, per la giornata più mistica del Festival di Roma.
di Ilaria Rebecchi