Mostra del Cinema di Venezia
day 1
1.09.2010
Lido di Venezia
Azione, psicologia e storia.
Questi i tre elementi cardine che hanno caratterizzato la prima giornata della 67^ Mostra del Cinema di Venezia (1-11 settembre 2010), aperta con gli onori del caso da una folgorante conferenza stampa di presentazione della kermesse, presieduta come da 7 anni a questa parte da Marco Müller, e della giuria del concorso, le cui fondamenta sorgono solide sulla polimorfa personalità di Quentin Tarantino, già protagonista del Festival come regista in concorso, anni orsono (senza dimenticare emeriti esponenti dell’arte cinematografica di oggi, tra cui i nostri Gabriele Salvatores e Luca Guadagnino, insieme a Danny Elfman, Arnaud Desplechin, Ingeborga Dapkunaite e Guillelmo Arriaga). Se lo sguardo furbo e mefistofelico di Tarantino ha regalato sorrisi e racconti divertenti sulla sua passione nei confronti del cinema sexy-thriller italico di decenni fa, e sul rapporto del regista con il cinema altrui, (dichiarazione sublimata poi dall’aggiunta post-romantica di un Salvatores bramoso di “innamorarsi” delle pellicole dei colleghi, e perciò pronto ad immergersi nel suo ruolo di giurato dell’arte di grandi e nuovi registi internazionali, per liberarsi dei propri fantasmi e acquisire quelli degli altri), hanno colpito le parole del regista Darren Aronofsky (già vincitore dell’edizione 2008 con “The Wrestler”), che ha dipinto nel più magistrale dei modi la propria nuova pellicola (“Black Swan”, un conturbante thriller psicologico che segue estrapola gli aspetti più sotterranei del subconscio della protagonista Nina – la magistrale Natalie Portman – prima ballerina del balletto di NY), scelta per aprire ufficialmente la mostra di quest’anno, in un esorbitante incontro scontro tra dualità e meta-teatro di shakespeariana e pirandelliana memoria, ove i colori tenui e dolorosi delle sfumature scure del rosa sposano l’arte della danza, pregna di sofferenza e devozione celebrata, a metà tra finzione e realtà nell’ambientazione dietro le quinte di un Tchajkowskijano allestimento del “Lago dei Cigni”, con Nina, cigno bianco e nero contemporaneamente, in un avvicendarsi speculare di ambizione e desiderio di piacere agli altri (bianco) e a sé stessa, quasi morbosamente, sensualmente e presuntuosamente pericolosa (cigno nero). E se la danza, protagonista assoluta della pellicola, è emisfero ancora inesplorato del tutto, pieno di misteri e silenziose fatiche nel nome dell’arte, il gioco al massacro tra la Portman e l’alter ego Lily (Mila Kunis), echeggia di provocazioni subdole e magnifiche nell’essenza devota della pellicola stessa.
Come se non bastasse, la seconda pellicola del giorno, “Legend Of The Fist”, mirabolante inarrestabile, risulta infallibile ritratto di quel Chen Zhen che dal 1972 venne portato al successo (e viceversa) da Bruce Lee, da subito amato da adepti e non solo del genere, tra rutilanti effetti visivi (a metà tra accelerazioni a mo’ di videoclip e slow motion alla “Matrix”), ironia di sottofondo e la bravura della già superstar in patria Donnie Yen, grazie alla regia di Andrew Lau, capace dopo aver lavorato a capolavori come “Hong Kong Express” e “”Infernal Affair”, di regalare luce e onore al mitico personaggio di Lee e alla stessa memoria del suo interprete.
“Machete”, appassionato tripudio dal sapore tarantiniano di effetti speciali, sarcasmo trash-pulp e ingegnosità stilistiche (sul finale due titoli “Machete uccide ancora” e “Il Ritorno di Machete”, quasi a preannunciare un seguito stesso della pellicola), dove il protagonista (Danny Trejo), il 3D, l’ispirazione fumettistica (già ampiamente sfoderata con il successo di “Sin City”), e tutti gli eroi (tra cui niente meno che Robert De Niro) e le eroine spietate (Jessica Alba, Michelle Rodriguez, Linsday Lohan), i massacri e l’indole alla ribellione, altro non sono che la chiave regalata dal geniale regista Rodriguez, per parlare, divertendosi, di immigrazione, rivincita degli emarginati e politica, senza polemica, ma con doverosa attitudine alla cronaca.
Infine, l’Italia merita il posto in prima fila, grazie alla meravigliosa opera di Giancarlo Scarchilli, che con Alessandro e Paola Gassman e la produzione di Maurizio Carraro, ha messo in piedi, nel ricordo del decennale della sua scomparsa, l’affresco migliore (“Vittorio Racconta Gassman – Una Vita Da Mattatore”) della fantastica vita, evoluzione personale ed artistica e dei segreti di Vittorio Gassman, rimanendo fedele all’eclettismo, alla fragilità mitigata dall’essenza da mattatore sul palcoscenico, e all’innata e magica capacità di volare dal comico al tragico, dall’italiano all’inglese e francese, dal classicismo alle avanguardie, di uno dei più grandi artisti che la storia dell’arte contemporanea (e non solo il cinema!) abbia mai avuto.
E scusate se è poco!
di Ilaria Rebecchi
Objectively and professionally. More such information!