“INCEPTION”
di Christopher Nolan
Scardinare le avanguardie cinematografiche, infarcendone i contenuti con sostenuti incroci di meta-cinema, futurismi mentali e simbolismi tecnologici a metafora di un’interiorità sotterranea, latente e manipolatrice, in effetti potrebbe bastare a definire “Inception” l’ennesimo capolavoro di Christopher Nolan, già abbondantemente convincente in prove quali “Memento” e il più recente “The Dark Knight”, capace, come ogni pellicola firmata dal quarantenne genio londinese, di solidificare un parallelismo autoindotto e luminescente tra le più alte forme del cinema d’autore di oggi e di ieri, con tutte le prerogative e le inaccessibilità ed oscurità di significato annesse, e le rutilanti tecnologie che nell’era del post-modernismo delle arti, fanno del digitale e degli effetti speciali, se sapientemente usati, la nuova dimensione visuale, capace di conquistare il pubblico più mainstream, che trova sfogo nelle avveniristiche scene d’azione catapultandosi, il più delle volte senza saperlo, verso il significato più subconscio e profondo delle stesse.
Si, subconscio, proprio quello di cui abusano Nolan e i suoi protagonisti (dove come al solito Leonardo DiCaprio eccelle senza limiti, tra attori cult del cinema internazionale di vario genere, tra cui però spiace vedere meno in vista il mitico Michael Caine e l’eclettico Cillian Murphy, a causa dei loro personaggi forse troppo poco delineati) in questo viaggio metaforico e, è proprio il caso di dirlo, onirico, alla conquista dell’Io assoluto, quasi a subentrare ad un Dio assente nella nostra società, assuefatta al qualunquismo robotico di sistemi sovraimposti e che poco spazio lascia ai sogni e alle idee, vere protagoniste dell’essenza dell’essere umano.
Perché nell’archeologia esistenzialista di innesti ed estrazioni di idee per i poco nobili scopi di lucro di cui la società è ghiotta (escamotage geniale ed accalappia-pubblico) si insinuano il dubbio, la conoscenza, il sentimento, il rimorso e l’affermazione, impalpabili e celestiali torture psicologiche di cui l’uomo, dalla note dei tempi, è vittima, carnefice ed assetato fruitore auto-plasmante.
E se la ricerca di questa onnipotenza (per la verità più intima, si scoprirà, che umanitaria) del protagonista Dom Cobb e dei suoi, si cela all’interno dell’immaterialità esistenziale, in un continuo incontro-scontro impossibile da definire tangibilmente, tra eroi ed antieroi, mentre la fuga da questo stesso vortice labirintico concentrato e portatore sano-insano di creatività e genialità, passa anche per la costruzione di immense e rocambolesche architetture parallele, dove la materia è controllabile e maneggiabile, sono solo le colpe a diventare il vero male contro cui ogni cancellazione è impossibile, persino se forzata da anestetiche illusioni anti-sofferenza.
L’azione deve sovrastare il pensiero, se esso porta dolore, ma la mente, e tutte le sue inerpicate masturbazioni-salvezza dell’uomo, mai possono essere del tutto sedate, persino nei sogni stessi, soprattutto se sensibili o della memoria, e anche se indotti, al punto che il confine tra realtà e sogno può diventare talmente sottile da esigere la presenza di simbolici “totem” rivelatori (ma chi decreta, in effetti, quale sia il senso di una risposta o dell’altra degli stessi “totem”, se non noi stessi, e di conseguenza, le nostre menti?); risulta facile, dunque, credere come risieda nelle stesse forme ed esperienze mentali personali o collettive dell’uomo, il cancro e la scialuppa di salvataggio, la fantasia e la dannazione dell’umanità.
Ma impossibile sarebbe vivere senza.
Nolan ci mette un pizzico di fantascienza che sembra devota ai fasti di pellicole come “2001: Odissea Nello Spazio” e “Matrix”, trasponendone l’essenza in una sorta di fanta-subconscio, dove futuro e passato sono illimitati e trasferibili, dove le idee, tarlo invincibile dell’uomo e sua più grande fortuna, possono rovinarlo o esaltarlo, dove i labirinti della mente ben sono rappresentati anche visivamente attraverso il continuo ripetersi di abbondanti geometrie nelle location, in stanze d’albergo (tranne quella, disordinata ma priva di linee dove il protagonista visse il suo più tragico evento, e perciò scevra da costruzioni, ovviamente), strade cittadine e avanguardie architettoniche di palazzi, specchi e vetri, dove i diversi strati di sogno ne delineano l’impervio tessuto-forza, dove Dio non subentra ma esiste (ed è?) l’Uomo, dove l’amore passa per il morboso attaccamento (non più solo fisico, ma afflitto in un masochismo affettivo onirico che intrappola nella vita reale) e dove l’invecchiare e il tornare giovani insieme dei vari protagonisti si incrociano in magnificenze e sottigliezze sceniche tali da far commuovere.
Da sottolineare, ovviamente, l’attinenza dell’intera pellicola al mito greco di Teseo, nella rappresentazione di un Cobb-Di Caprio, eroico e talora approfittatore, che pur avendo ucciso (o meglio convinto in comoda alleanza) il suo Minotauro (Saito-Ken Watanabe), scopre che il vero nemico è da combattere nello stesso labirinto, mentale e privato, in cui il mostro di un tempo è solo un’altra vittima di meccanismi superiori e mura invalicabili, fino a diventare, in un lontanissimo futuro, persino confessore e ultimo, vero, compagno di giochi, di Cobb stesso.
Elemento chiave della storia sarà proprio la figura della giovane genietta-studentessa Arianna (Ellen Page), unica reale conoscitrice della mente e dei segreti del protagonista ed unica dotata di una sensibilità tale da permettergli di cercare di dominare (con una razionalità ora glaciale nella sua durezza e ora toccante nella sua dolcezza) le proprie colpe da espiare, “sub consciamente”.
Aggiungeteci una colonna sonora (creata da Hans Zimmer, uno dei più grandi geni della musica moderna, secondo, forse, solo a Brian Eno), in cui la dilatazione temporale dei sogni si specchia nello slowmotion sonoro della base di uno dei più grandi capolavori interpretati da Edith Piaf, “Non, Je Ne Regrette Rien”, il cui ritornello è la sveglia dei nostri tormentati eroi e il cui testo recita “No, niente di niente! No, non rimpiango niente! Né il bene né tutto il male che m’hai fatto, e mi sta bene così… È stato tutto saldato, spazzato via, dimenticato… Coi miei ricordi, innesco la fiamma, i miei dispiaceri ed i miei piaceri, non ho più bisogno di essi… Rimossi gli amori e tutti i loro tremoli, dimenticati per sempre. Riparto da zero.”
E il solito non-finale è la ciliegina sulla torta di questo reale capolavoro di cinematografia contemporanea, macchina perfetta per coniugare le esigenze della critica e del pubblico, dove il misticismo dei sogni spazia tra sperimentalismi, special effects, chicche da cine-maniaci, razionalismo, idealismo e neo-illuminismo, shakespeariani echi e riflessioni per nulla scontate su magia e potere dell’uomo, in una sovrabbondanza metafisica tale per cui il confine tra virtuale e reale è abbattuto dalla psicanalisi, e, di conseguenza, dall’uomo.
Estetica dei sogni, allucinazioni, desideri subconsci, surrealismo moderno, pulsioni, e violenza freudiana di archetipi junghiani.
Superiore. Forse supremo.
“INCEPTION”
Regia: Christopher Nolan
Cast: Leonardo DiCaprio, Ken Watanabe, Joseph Gordon-Levitt, Marion Cotillard, Ellen Page, Michael Caine, Cillian Murphy.
Warner Bros – 2010
di Ilaria Rebecchi
Ciao, articolo splendido, complimenti.
Oltre a 2001 odisea e Matrix, ti vengono in mente altri films simili a questo? Stavo cercando qualcosa anche di poco conosciuto, ciao e grazie in anticipo.