FUCKED UP/MONOTONIX/BUD SPENCER BLUES EXPLOSION/DISTANTI – Torino Spazio211 – 22 luglio 2010
di Maurizio Cerutti
IL PUNK È MORTO! VIVA IL PUNK!
Un violento temporale si abbatte sulla serata più calda dello Spaziale Festival 2010, ma strade allagate e auto impantanate non fermano la voglia di assistere alla serata tanto attesa da molti. La pioggia al tramonto e il poco pubblico presente non penalizza lo show dei bolognesi Distanti che aprono la serata: mi piacciono molto, punk melodico che si accosta un po’ agli Husker Du, il cantate a petto nudo dalle movenze alla Pelle degli Hives è quasi imbarazzato e dispiaciuto nei confronti del pubblico, chiede perfino scusa per la presenza incessante della pioggia.
Faccio una pausa per la cena tra i tavolini di Spazio quando vengo attirato sotto il palco dal suono di un wah wah: il cambio palco è brevissimo, poi i Bud Spencer Blues Explosion danno vita a uno show fenomenale. I ragazzi romani hanno stoffa e si meritano molto più successo di quello che hanno già raccolto fino ad ora: sono precisi negli stacchi, fuzz e assoli hendrixiani si fondono all’hard-rock e al blues bianco che ha preso le sonorità dalle radici del delta rendendolo più potente e viscerale, senza disdegnare il grunge. Adriano alla chitarra e Cesare alla batteria (con addosso una maglia dei Motorhead) suonano benissimo ma lo fanno umilmente come pochi sanno fare; il finale è il loro manifesto, Blues di Merda, preceduta da una cover di Hey Boy Hey Girl dei Chemical Brothers al fulmicotone, ritmi dance che fuoriescono soltanto da una chitarra e una batteria in modo così perfetto rendono ancor più speciale un pezzo così famoso, bravi davvero.
Il cambio palco questa volta è più lungo: i roadie sistemano gli amplificatori della chitarra a bordo del palco e la batteria tra le prime file del pubblico, che nel frattempo si è sistemato in circolo davanti al set, volti stupiti e sorrisi attendono lo show dei Monotonix. Che i loro concerti siano particolari lo sanno tutti, ma cosa ci aspetta da lì a poco ha dell’incredibile. I tre di Tel Aviv si preparano sul palco: si mettono a petto nudo, il batterista Haggai Fershtman fa stretching e le flessioni con addosso delle incredibili mutante rosse di Garfield mentre il barbuto cantante Ami Shalev, che sembra un incrocio tra un santone indiano e Charles Manson, ci parla in spagnolo, arabo e altre lingue incomprensibili, concludendo il discorso con “You want a rock’n’roll?!?”. Molti si spostano, hanno paura di quello che sta per accadere: il concerto ha inizio e subito Ami lancia acqua tra il pubblico con tanto di bottigliette, versa la birra sulla batteria mentre Haggai pesta come un forsennato. Chiamiamolo garage punk, hard rock minimale, o semplicemente delirio: quello che colpisce è la perfomance della band oltre ogni previsione. La band si fa dare una mano dal pubblico per spostare e rispostare il set in ogni angolo del parterre, Ami è una scheggia incontrollata, sputa sugli obiettivi dei fotografi che stanno impazzendo a star loro dietro, tenta di baciare delle ragazze che rifiutano inorridite, abbraccia tutti, si rotola nel fango, si denuda, rovescia un bidone dell’immondizia e lo lancia verso il palco, si arrampica sulle transenne del mixer per il terrore dei mixeristi che tengono il gazebo temendo si rovesci, si trasferisce nella zona bar dove si mette a bere birra direttamente dallo spillatore, lancia i bicchieri di plastica sul pubblico, fa stage diving con rovinose cadute in terra, nel finale si fa innalzare dal pubblico mentre sta seduto sullo sgabello del batterista e un suo timpano sulle teste di tutti massacrandolo come un semidio tribale.
Quello che colpisce dei concerti dei Monotonix – che hanno fatto da supporto alla recente reunion dei Faith No More, ai Pavement e Dinosaur jr e lavorato con il mitico Steve Albini –, non è certo la loro musicalità o bravura tecnica, ma l’imprevedibilità portata all’eccesso, un modo originale e davvero punk di vivere la dimensione live.
Mentre siamo ancora in stato confusionale, Jonah Falco, il batterista dei Fucked Up, ci introduce in italiano l’inizio del concerto della sua band di Toronto. Entra on-stage Damian Abraham, si toglie la maglia quasi subito e dopo il terzo pezzo scende e canta tutto il concerto girando tra il pubblico: anche in questo caso la dimensione live sposta il proprio fulcro dal palco alla platea. La voce di Damian è un martello hard-core nelle nostre orecchie: anche lui abbraccia tutti e canta con loro, volano dei cinque, mentre la band rimasta sotto i riflettori non viene quasi più seguita pur suonando molto bene. Siamo tutti troppo presi a inseguire Damian mentre vaga per il prato, si schiaccia bicchieri di plastica sulla testa e sul corpo, raccoglie del fango dal terreno umido e se lo spalma in faccia, e si rovescia un sacchetto dell’immondizia addosso lasciandoselo sulla testa. “Questa canzone è dedicata a quelli un po’ sovrappeso come me, che d’estate sudano e soffrono: se anche voi odiate l’estate cantatela con me” dice Damian, introducendo I Hate Summer. Crooked Head spicca tra le loro canzoni: a differenza dei Monotonix, i Fucked Up sanno suonare. Sudore e stanchezza iniziano a farsi sentire, alla fine questa serata è passata rincorrendoci in lungo e in largo; il pezzo finale, una cover di Blitzkrieg Bop dei Ramones è un tripudio di voci e braccia alzate e “Hey oh! Let’s Go!” è un coro unanime verso il cielo (tra l’altro, i Fucked Up la suonarono nel 2009 a San Francisco con Jello Biafra). Uno del pubblico si avvicina a Damian e gli bacia il pancione, che quasi si commuove: “Grazie! È il bacio più dolce che il mio stomaco abbia ricevuto!”.
Alla fine di questa incredibile serata saluto un amico che mi dice: “Ho abbracciato Ami dei Monotonix… è stato come abbracciare un bidone dell’immondizia, gran concerto comunque”. Una nota di merito all’organizzazione di Spazio211 che ha saputo gestire alla grande due eventi ai confini della realtà come questi.