Nel 1977 erano tra i paladini e i fondatori del punk made in UK. Dopo Sex Pistols e Clash ci stanno a buon diritto loro: i Buzzcocks. Vederli ora nel 2010, in Italia, fa un certo che. Pete Shelley e Steve Diggle sono due simpatici signori di mezza età, forse un po’ provati dalla vita, ma che di cose da raccontare ne avrebbero a tonnellate. I Buzzcocks hanno aperto per i Sex Pistols, hanno avuto di spalla i Joy Division degli esordi e poi diviso il palco con Nirvana, Pearl Jam, per citare un paio di nomi. Non male per una band che nel 1977 si vide boicottata dalla BBC per il singolo Orgasm Addict. Il testo conteneva riferimenti sessuali troppo espliciti così l’emittente britannica si rifiutò di trasmettere il pezzo. In effetti fu quasi sempre una peculiarità della band quella di trattare temi riguardanti la sessualità, ma anche omosessualità e bisessualità. Troppo per la benpensante Inghilterra!
Ora siamo a Milano più di trent’anni dopo e vedere che alle 23 passate quei signori di Manchester non sono ancora saliti sul palco mi stupisce un po’. Nessun contrattempo, prima ci sono state delle band di spalla. Lo ammetto, sono un po’ scettico sulla performance live. Chissà, trenta o magari quaranta minuti li reggono… Vengo smentito prontamente dalla scaletta che mi finisce tra le mani. Faccio un rapido conto del minutaggio dei pezzi e tra una cosa e l’altra concludo che andremo oltre quello che mi aspettavo. Venti e più canzoni di punkrock vecchio stile come quasi più nessuno sa fare e in pochi apprezzare. Le migliori ci sono tutte: Fast Cars, I Don’t Mind, Ever Fallen in Love.
Nonostante, qualche sbavatura e qualche problema iniziale di suono il pubblico apprezza e in molti sembrano davvero divertirsi. Le voci dovrebbero essere alzate di volume e infatti dopo qualche brano il fonico corregge il tiro. Dietro a me un inglese e uno scozzese, rispettivamente di Liverpool e Edimburgo, sono eccitati come ragazzini al vedere i conterranei Buzzcocks e a bene guardarli direi anche coetanei. Veri fan e dopo avermi fatto volare la birra un paio di volte ci stringo amicizia.
Lo show va avanti spedito, senza diminuire d’intensità dall’inizio alla fine. Mister Shelley canta davvero bene e al di là dell’aspetto sembra che gli anni non abbiano intaccato la sua voce. Dopo quasi una ventina di pezzi lo show sembra essere al capolinea. Posano gli strumenti e fanno finta di andarsene, ma non ci vuole un esperto per capire che a breve torneranno sul palco per chiudere col botto. Come un po’ mi aspettavo lasciano tre classici per il gran finale. Sarà anche l’entusiasmo generale che serpeggia, ma a me a pare che il meglio lo diano proprio alla fine. Chiudono con Oh Shit, Ever Fallen in Love e ovviamente l’immancabile Orgasm Addict. Il pubblico partecipa attivamente cantando le tre canzoni. Da parte loro grossi sorrisi e strette di mano. Un atteggiamento molto diverso dallo show dei Pistols che vidi un paio d’anni prima. A dir poco inavvicinabili. L’opinione positiva che serbo non sarebbe cambiata, ma certo questi sono punti in più per loro.
A parte un paio di accenni di rissa ho l’impressione che la gente se la sia goduta almeno quanto me.
D’accordo non siamo a Manchester, questo non è il ’77 e fuori non c’è quel fervore musicale che stravolse la musica e il Regno Unito in quegli anni. Ma che piaccia o no questi signori, con brani un po’ demenziali e uno stile tutto loro, una trentina d’anni fa seppero ritagliarsi uno spazio assolutamente personale in un movimento, quello punk, che sancì una svolta epocale. Forse non un capitolo, ma almeno un paragrafo della storia della musica Shelley e soci l’hanno scritto. Per una grigia sera di gennaio non è andata male.