Di Marco Mantovani e Ilaria Rebecchi
Come una bomba ad orologeria, predisposta in un preciso momento per sconvolgere l’ordine precostituito e rompere con qualsiasi altra concezione musicale precedente. Fu il punk, non solo inteso come musica, ma come un vero e proprio movimento. Alla fine dei ’70s il Regno Unito venne travolto da questa ondata. Tutto o quasi doveva essere diverso, a cominciare dall’approccio alla musica stessa. Se fino allora c’era la convinzione comune che per suonare fossero necessarie delle particolarità doti tecniche o canore, con il punk chiunque poteva accedervi. Ognuno poteva fare una band. Basso, batteria, chitarra distorta. Voci stonate, di proposito o meno, questo non aveva molta importanza. Forse per la prima volta la musica divenne davvero libera e di tutti.
Ma il movimento fu anche moda. Il punk fece suoi degli oggetti e degli abiti, al fine di porre una netta linea di demarcazione con tutto il resto che c’era stato prima. Il punk doveva riconoscersi, distinguersi, soprattutto dalla borghesia. Spille da balia, chiodi, anfibi, maglie bucate, creste e capelli colorati, tutto in un modo o nell’altro divenne simbolo di quella subcultura che covava nel sottosuolo dell’Inghilterra. Se la moda venne influenzata, la musica venne stravolta. Quasi da subito fiorirono delle band molto innovative, il cui sound e attitudine, spesso, differivano uno con l’altro. Il messaggio contenuto nelle liriche fu un altro aspetto decisamente caratteristico. Nichilismo, autodistruzione, protesta sociale, antifascismo, guerra agli oppressori e molto altro. Molte band affrontavano in modo diretto, senza possibilità di malintesi, dei concetti nuovi, originali e molto spesso assolutamente non tollerabili dalla massa. Lo scontro divenne in breve inevitabile.
Tutto questo fu punk.
Nel giro di qualche mese sono passate in Italia 3 band britanniche che guarda caso hanno mosso i primi passi in quegli anni e che ancora oggi, seppur con qualche inevitabile cambiamento, di line-up, sanno ancora suscitare forti emozioni.