admin On novembre - 15 - 2010

MOUNT KIMBIE
@ UNWOUND CLUB (PD) – 12/11/2010

Fanculo l’obiettività. Parto male, lo so. Con un insulto e un anacoluto oltremodo volgare. Ma non importa: se devo esprimere un assoluto bisogno di anti-obiettività, O Signore, fa sì che le mie grette parole ne siano veicolo! Si fottano pure  rigore cronistico e registro stilistico. Nel cesso le regole che m’impongono di trattenere l’entusiasmo, di evitare con cura i superlativi assoluti  e gli slanci naif, le parole sconvenienti e gli elogi iperbolici. Non sarò clinico, e snob tantomeno. Non ce n’è bisogno, per davvero! Perché frenare l’entusiasmo del manipolo di persone che Venerdì 12 Novembre erano all’Unwound sarebbe un atto di violenza, di castrante mancanza d’amore. Sto esagerando? Io non credo.

Undici mesi di dischi sorprendenti, eppure “Crooks & Lovers” dei misconosciuti Mount Kimbie si è ritagliato una considerevole visibilità, nonostante le ottime uscite di colleghi più illustri e proposte ben più gonfie del solito hype. Come a dire, se fai breccia nei cuori nonostante Swans, Liars e Four Tet , se riesci a farti notare nonostante Wavves e Caribou,  allora qualcosa devi pur valere, al di là di tutto l’hype di questo mondo e di fichissime etichette di comodo. 

Post-dubstep? Glitch Hop?I-D- Gaze? Dream-hop? Per il sottoscritto, i Mount Kimbie si collocano in quella ormai folta schiera di postmodernisti che giocano col sacro e col profano, con la ricercatezza unita ad accenni di kitsch consapevole, per creare musica la cui caratteristica saliente è un’obliquità sufficiente a consacrarne l’attualità. Che sian samples o chitarre, o samples più chitarre, come in questo caso accade, poco importa. Per cui non vi annoierò con nerdissime elencazioni ai limiti del fetish su cosa c’era sopra il palco (nulla di che, per la verità), neppure mi dilungherò su come i nostri londinesi siano formidabili ad incollare gli episodi dell’album, a filtrare campioni vocali su ritmi che esplodono e si controcono fino a collassare rovinosamente in meravigliose escursioni glitch.

Vi descriverò invece come ci si sente chiudendo gli occhi e ascoltando tutto ciò. Ci si sente eterei, trasportati in un delirio psicotropo in una perfetta comunione  con le altre sparute presenze nella sala. Si abbracciano i pad, le stratificazioni, le accelerazioni e i rallentamenti;  si entra in sintonia con i riverberi e le ritmiche, si arriva lontanissimo con la semplice reiterazione di un loop. Insomma, ci si sente spaventosamente bene.

 Lo so, lo so, son tutti discorsi da hippy del cazzo.  Vi dovrei dire che i ragazzi sanno perfino cantare, che i samples non sempre erano perfettamente a tempo, che sul palco c’erano pure delle percussioni… Ma ciò che invece questa mia sbrodolata verbale mira a darvi è un’autentica buona ragione per andare a sentire i Mount Kimbie, se vi ricapita, invece di sputtanare dindìni per farvi le seghe sugli Editors, la coverband dei Joy Division o gli XX:  sentirsi bene come forse non vi capita spesso.

Rieccolo, il rigore giornalistico che se ne va a puttane. Ma se “Crooks & Lovers”  è uno dei dischi dell’anno, dal vivo suona semplicemente ancora meglio. E l’obiettività, certe volte, non serve proprio a niente.

di Alberto Casagrande

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